Indagare la complessità del presente dell’ecosistema Italia attraverso un approccio integrato tra aspetti demografici, economici e sociali. È questa la filosofia applicata da Istat nel “Rapporto annuale 2023. La situazione del Paese”. L’edizione di quest’anno affronta da una parte l’impatto di un contesto che vede il susseguirsi di crisi a livello internazionale e nazionale, dall’altra focalizza l’attenzione sulle potenzialità e le capacità di ripresa e di riprogettazione del Paese, approfondendo con dati e analisi quattro grandi temi: demografia, lavoro, ambiente e imprese.
Ai quattro temi chiave sono dedicati per la prima volta altrettanti focus di approfondimento trasversali, per evidenziare aspetti di rilievo legati alla riduzione dei divari territoriali e agli equilibri inter-generazionali e di genere. Le questioni generazionali e demografiche sono in particolare al centro dell’attenzione del rapporto.
Se, infatti, sul fronte economico a dati positivi di ripresa sia sul piano produttivo che su quello del lavoro si combina l’andamento dell’inflazione, che condizionerà l’evoluzione dei consumi e dei salari reali nel prossimo futuro, sul fronte demografico gli effetti dell’invecchiamento della popolazione si fanno sempre più evidenti. Il consistente calo delle nascite registrato nel 2022, rispetto al 2019, è dovuto per l’80 per cento alla diminuzione delle donne tra 15 e 49 anni di età e per il restante 20 per cento al calo della fecondità. L’invecchiamento è destinato ad accentuarsi nei prossimi anni, con effetti negativi sul tasso di crescita del Pil pro capite, mentre gli effetti del calo della popolazione in età da lavoro e dell’invecchiamento sono apprezzabili già oggi.
Lo studio sottolinea però che i dati non suggeriscono un destino ineluttabile: investendo sul benessere delle nuove generazioni si può fare in modo che l’insufficiente ricambio generazionale sia in parte compensato, anche se ad oggi gli indicatori che riguardano il benessere dei giovani in Italia sono ai livelli più bassi in Europa.
L’attenzione evidenziata dallo studio per i bisogni delle future generazioni, che dovrebbero permeare l’azione degli operatori economici e la progettazione delle politiche pubbliche a livello nazionale e locale, anche in considerazione dei cambiamenti normativi e delle opportunità già disponibili (Green Deal, Recovery Fund, RePower Eu) si intreccia con l’affondo dedicato all’analisi di dati e parametri riguardanti lo stato dell’ambiente in Italia.
Un ecosistema, quello italiano, che si caratterizza criticamente per la scarsità delle risorse naturali, con particolare riguardo all’acqua che vede la compresenza di eventi estremi, anche recenti, come alluvioni e crisi idriche e inefficienza delle infrastrutture.
Nel 2022 la riduzione delle precipitazioni combinata all’aumento delle temperature ha fatto registrare una riduzione della disponibilità idrica nazionale che ha raggiunto il suo minimo storico, quasi il 50 per cento in meno rispetto al periodo 1991-2020.
Contestualmente, l’infrastruttura idrica italiana è caratterizzata da una condizione di persistente criticità. Nel 2020, il 42,2 per cento dell’acqua immessa nelle reti di distribuzione dell’acqua potabile non arriva agli utenti finali con una perdita di 3,4 miliardi di metri cubi. Le situazioni di maggiore criticità si verificano nel Centro e nel Mezzogiorno, anche se, come evidenziato dal "Booklet Smart City 2023" realizzato da Assolombarda ed EY, una città come Milano, che spicca per efficienza nel contesto nazionale, registra al confronto con importanti città europee (Barcellona, Parigi, Amsterdam, Berlino e Monaco) la percentuale più elevata, dopo Barcellona, di perdite idriche sul totale dei volumi immessi in rete (13,8%).
Sul fronte emissioni di gas serra e inquinamento dell'aria, alcune delle azioni messe in campo per attenuare l’impatto dell’uomo sull’ambiente hanno avuto esiti positivi. L’Italia è tra i cinque paesi Ue27 che forniscono il contributo maggiore alla riduzione delle emissioni di gas serra anche se, per raggiungere l’obiettivo di sviluppo sostenibile del Goal 13, “Adottare misure urgenti per combattere il cambiamento climatico e le sue conseguenze”, che prevede una riduzione entro il 2030 pari almeno al 55 per cento delle emissioni di gas serra rispetto al 1990, resta ancora molta strada da fare. In questo contesto è interessante notare il contributo delle emissioni delle famiglie, che rappresentano il 25,1 per cento sul totale del 2021 e che registrano un incremento del 5,7 per cento rispetto all’anno precedente, dovuto soprattutto alla componente riscaldamento.
I dati per il nostro Paese confermano anche la difficoltà delle famiglie rispetto all’accesso a forme di mobilità meno inquinanti, fatto che comporta un elevato ricorso alla motorizzazione privata.
Il tasso di motorizzazione tende a essere più basso nelle aree urbane, dove si concentra l’offerta dei servizi di trasporto pubblico locale e di mobilità condivisa, modalità che sono sempre più diffuse nei centri storici delle grandi città anche per effetto delle restrizioni alla circolazione dei veicoli a motore, che non fermano però la crescita numerica delle autovetture in circolazione. A migliorare è la composizione del parco veicolare sotto il profilo delle emissioni inquinanti, con più autovetture a basso potenziale inquinante in circolazione, anche se emergono situazioni critiche tra le grandi città del Sud.
Un quadro complesso quella della mobilità, legato a doppio filo al tema della qualità dell’aria e della salute dei cittadini. Secondo una ricerca pubblicata dall’Agenzia europea dell’ambiente, più della metà delle città europee è ancora esposta ad alte concentrazioni di polveri sottili. Nella classifica, che tiene conto dei dati misurati tra il 2021 e il 2022, delle dieci città più inquinate d’Europa, due sono italiane, entrambe situate nella Pianura Padana: Cremona e Padova. E mentre nell’Ue27, l’esposizione a lungo termine ponderata con la popolazione (Population Weighted Exposure - PWE) al particolato PM2,5 ha registrato una diminuzione graduale, ma rilevante, tra il 2006 e il 2020 (-39,5 per cento), in Italia il miglioramento è stato più lento, con i principali effetti negativi sulla salute che si concentrano al Nord. Nel periodo 2016-2019, infatti, si stima che ogni anno, in media l’8,3 per cento dei decessi per cause naturali siano attribuibili all’esposizione a lungo termine al PM2,5, quota che al Nord sale al 10,9 per cento.
Sempre al Nord si rileva però un dato positivo: la disponibilità di aree verdi a livello territoriale. La tutela e il potenziamento delle aree verdi nelle città è una delle soluzioni che aumentano la biodiversità dell’ecosistema, e più in generale migliorano la sostenibilità e la resilienza dei sistemi urbani a potenziali criticità ambientali. Le differenze nella disponibilità di aree verdi a livello territoriale sono notevoli: la dotazione più elevata si trova nei capoluoghi del Nord-est (62,2 m2 per abitante, contro i 27,4 del Centro e il 25,9 del Nord-ovest), la più bassa in quelli del Mezzogiorno (26,5 m2 per abitante al Sud e 19,3 nelle Isole). Nei capoluoghi, inoltre, cresce la forestazione urbana e periurbana, ovvero nuove aree boschive a sviluppo naturale con funzione di assorbimento di CO2, che contribuiscono a migliorare le condizioni climatiche nelle città, mitigando l’effetto “isola di calore” caratteristico delle aree urbane.
Ultimo aspetto per completare la fotografia ambientale del Paese è quello legato alla transizione energetica e alle fonti rinnovabili. Tra le sei principali economie europee (Germania, Francia, Italia, Spagna, Paesi Bassi e Polonia), la Spagna ha raggiunto la maggiore proporzione di energia rinnovabile nel consumo totale nel 2021, con il 20,7%. Seguono la Francia con il 19,3%, la Germania con il 19,2% e l'Italia con il 19%, con un incremento minore nel corso degli ultimi 10 anni, solo del 3,6%, passando dal 15,4% al 19% ed evidenziando così spazi per miglioramenti futuri.
La transizione ecologica, infine, ha un forte legame con il territorio, come mostra l’analisi delle azioni e delle misure adottate a favore della transizione ecologica dalle istituzioni pubbliche ubicate nei comuni capoluogo di provincia e di città metropolitana.
Un primo parametro di misura dell’inclinazione all’applicazione dei principi di sostenibilità ambientale e sociale è l’adozione di forme di rendicontazione nelle amministrazioni pubbliche. Nel biennio 2019-2020, su un totale di 3.261 istituzioni pubbliche, il 32,2 per cento ha adottato forme di rendicontazione sociale o ambientale, che risulta più diffusa nei capoluoghi del Sud (quasi 34 per cento). I comuni capoluogo con le istituzioni più virtuose sono Verbania, Brescia, Gorizia, Pistoia, Fermo e Trani in cui la rendicontazione sociale e ambientale viene svolta in oltre la metà degli enti.
Il secondo parametro è l’utilizzo del Green Public Procurement (GPP2), uno strumento che prevede l'inserimento di criteri di qualificazione ambientale negli acquisti della Pubblica Amministrazione (PA) per promuovere prodotti e servizi a ridotto impatto ambientale. Le procedure sono più frequentemente adottate al Nord (27,6 per cento), che distanzia il Sud di 9 punti percentuali. Tra i comuni capoluogo, le istituzioni più propense agli acquisti verdi sono ubicate a Padova (quasi il 46 per cento), a Firenze (quasi 44 per cento), a Ferrara e a Cagliari (42 per cento), mentre sono ancora poco diffuse a Barletta (nemmeno un acquisto CAM), Enna (4,3 per cento) e Crotone (5,9 per cento).
L’importanza data nel rapporto all’osservazione dei dati legati allo stato dell’ambiente del Paese riflette la preoccupazione della popolazione italiana rispetto a cambiamenti climatici e inquinamento dell’aria, temi considerati al centro delle proprie considerazioni da più della metà dei cittadini.
Osservando però da vicino i dati, l’attenzione all’ambiente rivela differenze importanti rispetto alle appartenenze di genere e generazionali, fattori che si rivelano interessanti per comprendere meglio quali potranno essere le politiche efficaci tese a costruire e rafforzare una cultura ambientale.
Dal report emerge come le preoccupazioni riguardanti i problemi ambientali coinvolgano sia le donne che gli uomini, ma risulta che le donne esprimono maggiormente queste preoccupazioni, con una maggiore diffusione di comportamenti ecosostenibili tra le donne, soprattutto tra le giovani con un alto livello di istruzione. Tuttavia, una significativa quota di popolazione mostra ancora scarsa consapevolezza riguardo ai problemi ambientali e poca inclinazione verso comportamenti ecosostenibili.
Sul fronte generazionale, il dibattito sulle questioni ambientali ha visto spesso tra i protagonisti ragazzi e ragazze, che emergono nella fascia 20-24 anni come il gruppo con il livello più alto di attenzione per i cambiamenti climatici con il 74% di persone che si dichiarano preoccupate.
Le preoccupazioni ambientali, inoltre, si declinano differentemente per età rispetto ai temi. I giovani fino a 34 anni sono più sensibili per la perdita della biodiversità (32,1 per cento tra i 14 e i 34 anni contro 20,9 per cento degli over 55), un tema chiave per l’Italia come Paese europeo che in assoluto presenta il più alto numero di specie: circa la metà delle specie vegetali e circa un terzo di tutte le specie animali attualmente presenti in Europa. La sensibilità dei cittadini, soprattutto dei giovani, per la biodiversità è importante per contrastare i fattori che minacciano gli ecosistemi e ridurre il consumo e l'uso eccessivo delle risorse naturali.
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